Enrichetta Braga aspetta il mio arrivo seduta dietro la
finestra con le tendine ricamate della sua casa situata appena dopo “lo
stabilimento” di Turbigo, provincia di Milano, forse un po’ ansiosa perché non
avvezza a raccontare ad estranei la storia di famiglia. Non è stato facile arrivare
a lei, ma la nipote Rosella ha già avuto contatti in passato con altri studiosi
e così tutto è diventato naturale, e la presenza della figlia Carla ha
contribuito a rendere l’atmosfera piacevole e distesa.
Enrichetta Braga, che
ha compiuto 93 anni il 17 febbraio 2013, è persona affabile e molto
vivace oltre ad essere in gamba ,visto che continua a vivere da sola e
indipendente. Casa ordinata e costellata dei ricordi di una lunga vita con al
centro una delle peggiori tragedie marittime del Canada. Spiego il mio lavoro
di ricercatore, teso a far conoscere gli aspetti meno noti dell’emigrazione
lombarda, e racconto quanto so, per poi colmare i vuoti con la testimonianza di
Enrichetta e le precisazioni di Rosella e Carla.
La storia di Enrichetta incomincia a Ellis Island, New York
dove il 27 dicembre 1908 il piroscafo La
Lorraine sbarca due emigranti di Turbigo : Egildo Braga e Arcangelo
Citterio, l’uno diretto a Eveleth, Minnesota dal fratello Carlo emigrato nel
1906 e l’altro dall’amico Pasquale
Bianchini a Herrin, Illinois. Ambedue futuri minatori di ferro e carbone.
Egildo Braga, aitante giovanotto di ventun anni, si adegua subito al ritmo di vita del campo
minerario di Fayal dove l’attività ferve : il ferro è estratto e semitrattato
in loco a tal punto che la popolazione
di Eveleth è passata da quasi 2.800 nel 1900 a oltre 7.000 abitanti. Come d’uso anche Egildo alloggia assieme ad altri minatori presso una famiglia di
compaesani ed infatti il censimento
federale americano del 1910 lo elenca quale
boarder pensionante presso la
famiglia di Frank e Josephine Colombo. La scrupolosità statistica lo annota
quale minatore di ferro al Fayal Camp e ci informa che ha già inoltrato il
primo documento per ottenere la cittadinanza americana, solitamente il primo
passo verso la decisione di restare per sempre in America.
Egildo,infatti, decide di metter su famiglia, non ha tempo e
la possibilità di trovarsi una moglie in loco o di ritornare a Turbigo e contatta
quindi la famiglia. Siccome tanti giovani erano all’estero il numero delle
ragazze da marito era abbondante e bastava una fotografia o un vago ricordo per
combinare un matrimonio. Qualche giovane donna si sposava per procura ma
Carolina Braga, cugina di Egildo, preferì attraversare direttamente l’Atlantico sbarcando a New York il 27 maggio 1911 a bordo del
piroscafo La Lorraine.
Il manifesto con
l’elenco dei passeggeri dichiara che va dal cugino Egildo Braga al 217 di Grand
Street di Eveleth, segno che il minatore aveva lasciato la pensione ,ma non
aiuta a capire se Carolina, allora diciannovenne, sia partita da sola da
Turbigo fino a Le Havre per poi imbarcarsi il 20 maggio 1911. Nel ricordo di
Enrichetta la mamma sembra essere stata in compagnia di qualche paesana, ma se
lo era, non era di Turbigo in quanto il manifesto non mostra altre persone
dirette a Eveleth. La traversata oceanica, sempre con la medesima connotazione
di ansia e mal di mare e quel pezzo di formaggio portato da casa che non andava
proprio giù, come rammenta Enrichetta con la certezza di chi ha raccolto le
medesime frasi per anni senza mai annoiarsi e prestando attenzione ai minimi
dettagli.
Carolina parte con grande coraggio e fiduciosa di non andare
a Eveleth brasciacoll a ‘na pianta (a mettere le braccia al collo a un albero
ovvero a un futuro marito completamente sconosciuto) ma di sposare l’uomo della
sua vita. Enrichetta lo ripete più volte e le foto successive mandate alla mamma Romorini Maria a Turbigo mostrano
infatti due persone fiere e serene.
Poco dopo il suo disagiato viaggio, il 3 giugno 1911 Egildo
e Carolina Braga si sposano a Eveleth e incominciano a progettare il loro
futuro. Nasce un figlio, Rino e tutto
procede per il verso giusto. Enrichetta conserva ancora le fotografie a
viraggio seppia dei matrimoni che molti emigranti spedivano poi con orgoglio
alle famiglie rimaste in Italia.
Ben presto anche Carolina gestirà una casa per pensionanti boarding house e a tutti racconterà
all’infinito di avere avuto fino a 17 minatori da accudire ovvero preparar loro
pasti all’italiana e lavare e stirare i loro vestiti.
Il fratello Carlo, minatore e pensionante in un'altra casa,
si sposa invece nel 1914. L’iter è sempre il medesimo : richiesta alla famiglia
in Italia di cercare una ragazza da marito della cerchia familiare desiderosa
di emigrare. Un rito ormai collaudato.
La futura sposa Giuseppa Garavaglia, pure lei diciannovenne, parte con il Rochambeau da Le Havre il 14 marzo 1914 e
arriva a New York il 24 marzo 1914.
Questa volta le cosiddette navi del lavoro portano diversi emigranti locali. Ci
sono Ronzoni Carolina e Rosa pure dirette a Eveleth e frotte di emigranti di Castano Primo e Nosate,
destinati a St. Louis, Missouri e di Lonate Pozzolo che vanno invece a Crockett
e San Rafael, California. Nel 1913
almeno 90 turbighesi emigrarono negli Stati Uniti, ma nel 1914 causa le
incertezze politiche, la cifra scese a soli 15.
Giuseppa lasciava a Turbigo la famiglia con a capo il padre
Giuseppe che era emigrato anni prima a Buenos Aires, Argentina, dove lei era
nata 1895.
Una grande e meravigliosa fotografia di matrimonio del 1914
che Enrichetta aiuta pazientemente a ricostruire mostra Carlo e Giuseppa
circondati da parenti e amici, e soprattutto da Egildo, Carolina e dal loro
bimbo Rino. La datazione della fotografia ha richiesto molte discussioni e
ipotesi perché non ci sono annotazioni di sorta, e Enrichetta può umanamente
identificare soltanto le persone conosciute o di cui si è costantemente
parlato. Tuttavia adesso tutto è chiaro. Giuseppa arrivò il 24 marzo 1914 e si
sposò quasi subito, certamente prima della partenza di Egildo e famiglia per
l’Italia che avvenne l’ultima settimana di maggio del 1914. Per motivi legati alle promozioni delle
compagnie di navigazione il viaggio via mare ebbe inizio a Ville du Quebec,
Quebec, Canada, raggiunta dopo un
viaggio in treno di 2250 chilometri, la distanza che la separa da Duluth,
Minnesota.
Perché Egildo aveva deciso di tornare a casa? Enrichetta non
ha una risposta precisa : Carolina era contenta di stare in America e le
opportunità di lavoro non mancavano. Si può ipotizzare un richiamo familiare,
allora molto forte in alcune famiglie, per cui Egildo aveva così deciso di
tornare per verificare lo stato delle cose dopo sei anni di lontananza. Di
fatto a bordo della Empress of Ireland
c’erano molti operai licenziati temporaneamente dalla Ford e anche altri
minatori rimasti senza lavoro. Non si era ancora spento l’eco dei sanguinosi scioperi del 1913-14 nella Copper Country Regione del Rame del
Michigan e nelle miniere di carbone di Ludlow, Colorado, seguiti nel 1916 da
quelli nel Mesabi Range del Minnesota nel 1916. Talvolta il ritorno tra i
propri cari era preferibile al disagio della lotta per il pane.
Egildo, Carolina e Rino si ritrovarono quindi a Ville du
Quebec in mezzo a una folla di persone che andava naturalmente a Liverpool,
scalo comodo per i nordeuropei ma un po’ meno per gli italiani che avrebbero
poi dovuto proseguire per altri 1250 chilometri.
L’Empress of Ireland
salpò regolarmente alle 1630 da Ville du Quebec al comando del capitano Henry
G. Kendall con a bordo 1477 persone tra
passeggeri di prima, seconda e terza classe e membri dell’equipaggio e si
inoltrò lungo il fiume San Lorenzo.
Egildo e Carolina declinarono la possibilità di restare nel
dormitorio con gli altri bambini – 138 in tutto – e preferirono rimanere con
lui negli alloggi di terza classe.
Verso la una e venti del 29 maggio 1914 la visibilità sulla
rotta fu azzerata da improvvisi banchi di nebbia. Se ne accorsero sia la Empress
of Ireland sia la nave da carico norvegese Storstad che procedeva in senso opposto ma nonostante le correzioni
di rotta dell’ultimo momento la Storstad
non riuscì a evitare la collisione. Alle 0155 la prua rinforzata per la
navigazione tra i ghiacci della Storstad squarciò
la fiancata della Empress of Ireland.
L’urto fu tremendo, la prua della Storstad penetrò nella fiancata della Empress of Ireland creando uno squarcio
di quattro metri alto quattordici e penetrando per almeno sette metri sotto la
linea di galleggiamento, e la nave cominciò a sbandare su un fianco. Alle 0155
la Storstad riuscì a disincagliarsi.
Quindici minuti dopo la Empress
of Ireland non era più visibile.
Quando la Storstad urtò
la Empress of Ireland Egildo si
svegliò di soprassalto e corse immediatamente a vedere che cosa era successo. Carolina, stà lì ca vo sù a vidè
Carolina aspettami che vado sopra a vedere. Egildo tornò quasi subito : Carolina al funda, Carolina affonda.
Per fortuna si erano
tenuti il figlio e non erano rimasti nel dormitorio. 134 dei 138 bambini
annegarono e anche loro avrebbero certamente incontrato la medesima sorte.
La nebbia, la paura, la concitazione della folla, Rino,
tutto contribuisce a rendere drammatica la scena, ma Egildo sembra avere i
nervi saldi, lega in qualche modo il figlio a sé e cerca di capire come
salvarsi. Carolina ha paura, hanno indossato il salvagente, ma buttarsi in mare
al buio non è facile. Si teme il risucchio visto che la nave sta affondando. In
qualche modo raggiungono il ponte, Egildo scalcia malamente un tizio
irrazionale che lo ostacola con valigia al seguito. Poi si buttano. A un tratto
Egildo si accorge che la forza dell’acqua gli ha sottratto Rino, lo cerca
disperatamente, e perde di vista Carolina. Lei ha preso una trave in testa e si
è anche ferita alla fronte, sprofonda nell’acqua gelida e risale, resiste poi
attaccata a una scialuppa rovesciata.
Enrichetta ha gli occhi lucidi nel rievocare le parole del padre che si commuoveva sempre ogniqualvolta, e capitava spesso, fissava il
pensiero e il discorso sul tragico evento con un senso di colpa per non essere
stato capace di salvare Rino.
Vusean tucc, in un
mument a vusea pù nisun urlavano tutti, in un momento non urlava più
nessuno.
I soccorsi da parte della Storstad medesima e di altre navi furono rapidi come rapido era
stato l’affondamento della Empress of
Ireland, ma la tragedia fu immane. Perirono 1012 persone e se ne salvarono
465.
I superstiti furono portati nella vicina Rimouski, dove i
Braga cercarono invano di identificare il corpo di Rino tra le salme ritrovate
e allineate per il riconoscimento.
A questo punto non restava che tentare di darsi pace e
ritornare a casa il più presto possibile. La Canadian Pacific mise a
disposizione il Corsican che partì il
31 maggio 1914 alla volta di Liverpool, assieme ai Braga i pochi italiani
sopravvissuti.
Ritornati a Turbigo, Egildo Braga di Angelo e Cavaiani
Vincenza si risposò con Carolina Braga di fu Felice e Romorini Maria il 18
novembre 1914 nella chiesa parrocchiale di S. Maria Assunta di Turbigo. Gli atti
del matrimonio americano non erano stati interpretati e la coppia desiderava
ricominciare una nuova vita.
L’America aveva lasciato loro molti ricordi, una cintura di
pelle con i risparmi del lavoro in miniera e una catenina d’oro,
miracolosamente scampati all’evento. Nient’altro. Avevano perso tutto, compresi
i vestiti : Carolina raccontava divertita che dopo il salvamento indossava
praticamente soltanto la camicia da notte e si coprì per un po’ con una cuerta insù una cuerta da là una coperta
su e una coperta di traverso.
La vita riprese. Il 17 marzo 1915 nacque Rina che morì però
il 25 novembre 1917. Finalmente il 16 febbraio 1920 nacque Enrichetta Braga, la
madre di Carla e Aurelia che continua a tramandare la storia familiare.
Seguirono poi Mario Braga (5 ottobre 1924-1 febbraio 2001) padre di Rosella e
Pierangela e Rina Braga (15 luglio 1930 – 6 giugno 1931).
Al termine della prima guerra mondiale decine di turbighesi
rientrarono o partirono per gli Stati Uniti alla ricerca di nuove opportunità
di lavoro e tra di essi Egildo Braga. Questa volta partì da solo da Genova a
bordo della Dante Alighieri il 24 settembre 1920 e sbarcò a New York il 9
ottobre 1920. La destinazione era sempre la medesima : dal fratello Carlo Braga
ormai stabilitosi definitivamente a Eveleth, Minnesota.
Si fermò un paio d’anni ma qualcosa non aveva funzionato e
decise di ritornare in Italia. Sarebbe stato per sempre perché il clima
politico italiano non avrebbe più favorito gli espatri.
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