Ed ecco un' affascinante testimonianza di un viaggio a Ottawa, capitale del Canada:
Possibile innamorarsi di una città come Ottawa? E’ possibile. Anzi, mi è successo, l’ ho vissuto in prima persona. Nata e cresciuta a Roma, fiera del mio passato, delle mie origini e di tutto quello che la città eterna offre, sono partita alla volta di questa città se non con pregiudizi con una punta di prevenzione e di snobismo. Arrivando dall’ Italia pensavo: cosa mai può offrirmi la capitale del Canada a me che arrivo dalla culla della civiltà, a me che sono abituata al sole, alle nostre città d’arte, al senso dello stile, a vini e cibo che il mondo ci invidia, all’ espresso caldo e forte?
E invece mi sbagliavo, e di grosso. Ottawa si insinua piano piano. Non ha l’ impatto di una città come Toronto né lo charme raffinato di Montréal ma ti conquista lentamente, come uno spasimante discreto e poco insistente ma dal fascino sottile, da scoprire poco a poco tanto che alla fine ci si ne innamora perdutamente. Per chi ha avuto la fortuna, come me, di rimanere ad Ottawa un mese e di abbracciare in pieno tutto quello che questa città offre (sono stata ospite a casa di amici canadesi, quindi ne ho respirato l’ atmosfera più da autoctona che da turista), la città (ed i suoi abitanti) ha rappresentato una vera sorpresa. Uno strano ma armonico mix di understatement e di estro, spazi verdi a perdita d’ occhio e cemento, palazzi alti (ma che mai superano in altezza Parliament Hill) a fianco di vecchie case monofamiliari, nei cui giardini pasteggiano scoiattoli neri per niente intimiditi dalla presenza dei passanti. Ho ascoltato parlare” franglais” senza capire nulla o quasi ma godendo immensamente di questo suono sporco eppure così piacevole all’ udito, ho conosciuto anche io almeno 3 persone che lavorano nel governo (come si sa, ad Ottawa, chiunque ha qualcuno in famiglia che ha lavorato, o lavora, per il governo), ho trascorso serate saltando da un locale all’ altro di Elgin Street (dal Lieutenant Pump al Fox & Feather, non senza essermi concessa prima la bistecca migliore del mondo da Al, squisito padrone di casa della Steakhouse), sorseggiando “ rye” ed invidiando la capacità di resistenza all’ alcool dei canadesi. Ho goduto del sole caldo sdraiata sull’erba a pochi passi dal Rideau Canal, ho partecipato ad un barbecue come non ne avevo mai visti, in un cottage sperduto fra i boschi (ma a solo mezz’ ora di macchina da Ottawa) dove il silenzio assoluto della natura è rotto solo dalle risate e dal tintinnio delle bottiglie di birra che si incontrano in un brindisi a celebrare una lunga estate calda, il sole sulla pelle nuda, il sapore delle “spareribs” cotte a puntino e inondate da worchester sauce (ed in qualche caso anche da sciroppo d’ acero, ma questa è un’ altra storia). Ho peregrinato per giorni alla ricerca di un buon cappuccino o qualcosa che gli si avvicinasse ed alla fine l’ ho trovato da Hava Java, dove ogni commesso si è sempre fatto in quattro per servirmi, probabilmente mossi a compassione (che espressione disperata può avere un italiano alla ricerca ostinata e frenetica di un cappuccino fatto come si deve?) ma anche spinti da quello spirito di gentilezza che ho riscontrato più e più volte in questa città, dove lo spirito di accoglienza si manifesta in maniera molteplice, dove lo straniero difficilmente si sente estraneo. Quando mi accingo a partire e preparo le valigie, mi affaccio dal mio appartamento di Cartier street e vedo le foglie che cominciano ad ingiallire, perché qui l’ autunno si manifesta violentemente, con tutti i suoi colori ed i suoi profumi e l’ aria diventa subito più frizzante. La nostalgia mi assale, vorrei rimanere ancora un poco per godermi ancora questa città, i suoi abitanti ed il loro essere così “ laid back”. Intanto penso che c’è ancora il tempo di assaggiare una fetta di torta di zucca prima di salire sul volo per Roma e sorrido, pensando alla prossima volta che tornerò ad Ottawa. E già comincio a contare i giorni.
di Francesca Fabi
E invece mi sbagliavo, e di grosso. Ottawa si insinua piano piano. Non ha l’ impatto di una città come Toronto né lo charme raffinato di Montréal ma ti conquista lentamente, come uno spasimante discreto e poco insistente ma dal fascino sottile, da scoprire poco a poco tanto che alla fine ci si ne innamora perdutamente. Per chi ha avuto la fortuna, come me, di rimanere ad Ottawa un mese e di abbracciare in pieno tutto quello che questa città offre (sono stata ospite a casa di amici canadesi, quindi ne ho respirato l’ atmosfera più da autoctona che da turista), la città (ed i suoi abitanti) ha rappresentato una vera sorpresa. Uno strano ma armonico mix di understatement e di estro, spazi verdi a perdita d’ occhio e cemento, palazzi alti (ma che mai superano in altezza Parliament Hill) a fianco di vecchie case monofamiliari, nei cui giardini pasteggiano scoiattoli neri per niente intimiditi dalla presenza dei passanti. Ho ascoltato parlare” franglais” senza capire nulla o quasi ma godendo immensamente di questo suono sporco eppure così piacevole all’ udito, ho conosciuto anche io almeno 3 persone che lavorano nel governo (come si sa, ad Ottawa, chiunque ha qualcuno in famiglia che ha lavorato, o lavora, per il governo), ho trascorso serate saltando da un locale all’ altro di Elgin Street (dal Lieutenant Pump al Fox & Feather, non senza essermi concessa prima la bistecca migliore del mondo da Al, squisito padrone di casa della Steakhouse), sorseggiando “ rye” ed invidiando la capacità di resistenza all’ alcool dei canadesi. Ho goduto del sole caldo sdraiata sull’erba a pochi passi dal Rideau Canal, ho partecipato ad un barbecue come non ne avevo mai visti, in un cottage sperduto fra i boschi (ma a solo mezz’ ora di macchina da Ottawa) dove il silenzio assoluto della natura è rotto solo dalle risate e dal tintinnio delle bottiglie di birra che si incontrano in un brindisi a celebrare una lunga estate calda, il sole sulla pelle nuda, il sapore delle “spareribs” cotte a puntino e inondate da worchester sauce (ed in qualche caso anche da sciroppo d’ acero, ma questa è un’ altra storia). Ho peregrinato per giorni alla ricerca di un buon cappuccino o qualcosa che gli si avvicinasse ed alla fine l’ ho trovato da Hava Java, dove ogni commesso si è sempre fatto in quattro per servirmi, probabilmente mossi a compassione (che espressione disperata può avere un italiano alla ricerca ostinata e frenetica di un cappuccino fatto come si deve?) ma anche spinti da quello spirito di gentilezza che ho riscontrato più e più volte in questa città, dove lo spirito di accoglienza si manifesta in maniera molteplice, dove lo straniero difficilmente si sente estraneo. Quando mi accingo a partire e preparo le valigie, mi affaccio dal mio appartamento di Cartier street e vedo le foglie che cominciano ad ingiallire, perché qui l’ autunno si manifesta violentemente, con tutti i suoi colori ed i suoi profumi e l’ aria diventa subito più frizzante. La nostalgia mi assale, vorrei rimanere ancora un poco per godermi ancora questa città, i suoi abitanti ed il loro essere così “ laid back”. Intanto penso che c’è ancora il tempo di assaggiare una fetta di torta di zucca prima di salire sul volo per Roma e sorrido, pensando alla prossima volta che tornerò ad Ottawa. E già comincio a contare i giorni.
di Francesca Fabi
1 commento:
Se già avevo voglia di andare in canada, il tuo racconto l'ha aumentata, grazie Arnaldo.
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