Mangiare l’aragosta è un bel divertimento. Quella dell’Atlantico, ben raffigurata a Shediac, mi piace semplicemente bollita. Prima di comiciare ad affrontarla giova munirsi di un bel bavaglione, onde evitare poi il passaggio diretto in lavatrice. Si ritorna bambini e ci si può maialare senza problemi, visti gli spruzzi di acqua e quant’altro che ci aspetta.
Mi hanno spiegato che l’aragosta cotta deve avere un bel colore rosso, che la coda non deve essere arricciata perché in tal caso sarebbe stata cucinata dopo morta, che deve essere bollita in acqua marina e che la stagione migliore per pescarle e mangiarle è l’autunno.
Il lavoro inizia preferibilmente dalla coda la cui carne è la più gustosa, ma deve essere abbastanza dura e consistente ; si stacca dal corpo con una semplice torsione e pressione sui lati per far uscire la carne, aprendola come un libro.
L’aragosta è totalmente commestibile, nonostante i consigli di togliere la venatura scura come pure il tamalley, il fegato-pancreas verde che e in realtà delizioso e le uova rosse non fertilizzate note sotto il nome di roe, qualora si mangi una femmina.
Le chele si strappano facilmente dal corpo, ma per romperle serve uno schiaccianoci o qualche arnese simile; la carne si estrae con le forchette apposite.
In attesa di attaccare altri parte dell’aragosta è meglio cominciare a mangiare quelle che abbiamo già separato, anche senza condimento. Qualcuno usa limone, olio oppure maionese. Io sono per l’aragosta e basta.
Per aumentare lo spasso si passa poi alle zampe e al corpo che richiedono l’ausilio del solito schiaccianoci per romperle. E quindi al resto dell’aragosta tipo carapace, antenne e parti varie.
Qui il lavoro diventa certosino, ma vale la pena di insistere.
La delizia è assicurata.
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