Fu nell'estate del 2007 che scrissi questo post ORCHE A BABORDO! e mi emoziono ogni volta che ricordo quel viaggio da guida/accompagnatore di un fantastico gruppo di 35 entusiastici 'esploratori' dell'Ovest canadese. Raccontare un’emozione intensa è impresa da grande scrittore; spero almeno di farti venire una gran voglia di visitare il Canada che di emozioni uniche è capace di dartene davvero tante....
In tanti anni di tour di gruppo nell’Ovest non ero mai riuscita a fare l’escursione per l’avvistamento delle orche.
L’estate scorsa invece, costretta da un coro “… se non ci vieni tu non ci va nessuno!” ecco che comincia l’avventura… nel porticciolo di Victoria, dopo le formalità burocratiche di rito, ecco la vestizione: scettici, perché fa un gran caldo, ci “incapsuliamo” a vicenda nelle enormi e pesanti tute arancioni, e già ci scappa da ridere!
Muniti solo dell’indispensabile macchina video/fotografica al collo ed un consigliato copricapo (… per il freddo?!?) attraversiamo la strada (centinaia di turisti in pantaloncini e t-shirt ci osservano sbigottiti) e scivoliamo sulle panchette del grosso Zodiac guidato da un aitante pilota che dalla sua postazione sopraelevata ci impartisce le regole di bordo.
A dita incrociate, partono i nostri 2 equipaggi di intrepidi italici (dai 13 ai 78 anni), dapprima lentamente, per uscire dal porto e poi sempre più veloci, per dirigerci nello Stretto di Juan de Fuca alla ricerca delle orche.
La velocità aumenta sempre più, il rombo del potente motore è assordante, i balzi sulle onde ci fanno saltare sulla panca, le mani (beato chi ha portato anche i guanti!) sono incollate alla sbarra… siamo troppo concentrati nel tentativo di “zipparci” la tuta il più possibile ad occludere ogni più piccolo spiffero di aria gelida dell’Oceano Pacifico, quindi niente conversazione, solo una gran voglia di ridere, ma anche tenere la bocca aperta è diventato un’impresa…
Muniti solo dell’indispensabile macchina video/fotografica al collo ed un consigliato copricapo (… per il freddo?!?) attraversiamo la strada (centinaia di turisti in pantaloncini e t-shirt ci osservano sbigottiti) e scivoliamo sulle panchette del grosso Zodiac guidato da un aitante pilota che dalla sua postazione sopraelevata ci impartisce le regole di bordo.
A dita incrociate, partono i nostri 2 equipaggi di intrepidi italici (dai 13 ai 78 anni), dapprima lentamente, per uscire dal porto e poi sempre più veloci, per dirigerci nello Stretto di Juan de Fuca alla ricerca delle orche.
La velocità aumenta sempre più, il rombo del potente motore è assordante, i balzi sulle onde ci fanno saltare sulla panca, le mani (beato chi ha portato anche i guanti!) sono incollate alla sbarra… siamo troppo concentrati nel tentativo di “zipparci” la tuta il più possibile ad occludere ogni più piccolo spiffero di aria gelida dell’Oceano Pacifico, quindi niente conversazione, solo una gran voglia di ridere, ma anche tenere la bocca aperta è diventato un’impresa…
All’improvviso lo Zodiac rallenta, si ferma… ci guardiamo attorno, le speranze sono molte, scrutiamo l’orizzonte ed il pelo dell’acqua… solo l’oceano infinito, mare piatto, l’altro equipaggio fermo un po’ più in là, aspettiamo, ed eccole… sinuose e lente escono dall’acqua per farsi ammirare, poi scompaiono, l’eccitazione sale, dove sono finite? L’attesa riprende, alcuni interminabili minuti ed eccole di nuovo e più volte, una visione da toglierti il fiato, ma ancora sono lontane.
Il capitano riprende a muoversi, quasi a sistemarsi sulla presunta rotta del gruppo di orche; passano i minuti che sembrano ore, tratteniamo il respiro, adesso si suda, sarà la tuta o l’emozione, e quando e dove meno ce le aspettiamo… eccone due fare capolino proprio sul bordo del gommone… l’urlo di gioia sale all’unisono!
Qui non le vedete? Sì, sono proprio lì sotto, quasi da toccare, scattare la foto è impossibile, solo qualcuno riesce a filmarle.
Oh sì, è valsa la pena congelarsi il naso e sobbalzare sulle dure panche…sulla via del ritorno anche un gruppo di foche è venuta a farci festa mentre il sole infuocato tramontava alle nostre spalle.
Raccontare un’emozione intensa è impresa da grande scrittore; da parte mia posso dirti solo che serbo quel pomeriggio ancora vivido negli occhi e nel cuore.
Oh sì, è valsa la pena congelarsi il naso e sobbalzare sulle dure panche…sulla via del ritorno anche un gruppo di foche è venuta a farci festa mentre il sole infuocato tramontava alle nostre spalle.
Raccontare un’emozione intensa è impresa da grande scrittore; da parte mia posso dirti solo che serbo quel pomeriggio ancora vivido negli occhi e nel cuore.
Esperienza da non perdere.
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