martedì 12 gennaio 2016

BORDER COUNTRY, Minnesota/Ontario


Ci sono circa 1.150.000 ettari di libertà tra il Minnesota (Boundary Waters Canoe Area Wilderness) e la provincia canadese dell’Ontario con i parchi La Verendrye Provincial Park ed il Quetico Provincial Park. Abbastanza per la solitudine e l’avventura, sufficienti per la gioia degli uomini e per la vita dei castori e delle alci, dei lupi grigi e degli orsi neri, delle martore e delle linci, dei caribù e delle aquile dalla testa bianca, oltre a quei milioni di uccelli acquatici che hanno eletto il Border Country a residenza estiva, alcova e nursery.
Ciò che più caratterizza l’area è l’abbondanza di laghi, paradiso di pescatori e canoisti! Quanti sono i laghi in questa zona di confine spesso denominata Border Country, poco ad ovest del lago Superiore? Le guide azzardano 350, ma contando con pazienza le macchioline blu sulla carta ufficiale si arriva a 677. Per i ranger della grande riserva naturale che occupa la parte statunitense della regione, il numero è 1.000, mentre per i pescatori (la specie più abbondante in tutto il territorio) sono 567.


La storia “bianca” della regione del Quetico Superior Country cominciò da un cappello. Di pelliccia di castoro.
La passione degli inglesi per lo Wellington di feltro di castoro e la moda che a Parigi imponeva cappotti e cappellini di pelliccia cambiarono la faccia di quell’America selvaggia quasi quanto nei millenni avevano fatto il ghiaccio e l’acqua.


http://www.thecanadianencyclopedia.ca/en/article/beaver-pelts/

Agli inizi del XVII secolo la regione dei Grandi Laghi non contava più di 100.000 indiani. Qui non ne vivevano che alcune centinaia, un decimo della gente che oggi vi passeggia e vi pagaia in un solo giorno di agosto. Non c’erano tra loro i discendenti diretti di quei cacciatori nomadi che raggiunsero quest’area probabilmente attraverso lo stretto di Bering 10.000 anni fa. Una seconda e più massiccia immigrazione era infatti venuta da sud 5.000 anni dopo.
Gli archeologi li definiscono paleo-indiani, di loro si sa che vivevano in piccoli nuclei familiari spostandosi su canoe di corteccia di betulla, cacciando e pescando, costruendosi utensili di legno e punte di frecce di selce. I loro sogni li dipingevano sulle rocce bianche levigate dai ghiacciai dove ancora spiccano rosse le immagini dell’alce e del cacciatore, le impronte sovrapposte di molte mani, le figure quasi astratte delle loro divinità.
Quando arrivarono gli europei molte tribù indiane si erano succedute nella regione, e l’ultima tra queste, i Dakota Sioux, da tempo era in guerra contro gli Ojibwa che dalle proprie zone di origine, sulla costa est, si erano spostati a nord spinti dalla progressiva invasione dei bianchi.
Il commercio delle pellicce era iniziato nel 1534, quando i primi europei si accorsero di quanto poteva essere bello un cappello di castoro e i coloni americani scoprirono attorno ai Grandi Laghi una popolazione sterminata di questi instancabili roditori ed eccezionali costruttori di dighe. I francesi furono i primi a cominciare un fitto commercio con le popolazioni indiane locali: pellicce contro specchi, nastri, coltelli d’acciaio, rum, fucili. Presto però la domanda di pelli fu tale da indurre i bianchi a tentare essi stessi l’avventura.

E’ l’epopea dei voyageurs: esploratori, commercianti, portatori, cacciatori e trappers. Gli eroi di questa terra erano in realtà dei forzati della canoa, salariati dalla  Compagnia di Nord-Ovest con sede a Montréal (dal 1821 rilevata dalla Compagnia della Baia di Hudson, inglese). Il loro compito era quello di fare la spola tra il Grand Portage, centro di affari sul Lago Superiore e i territori del Nord fino al lago Athabasca, portando merci varie e tornando con carichi di migliaia di pellicce di castoro. C’erano 4.800 chilometri da percorrere dall’1° maggio all’1° ottobre prima che tutto tornasse sotto il dominio del ghiaccio, e non era una strada facile. C’erano rapide e laghi che sembravano mari, lunghi tratti di pista (portage) da percorrere con la canoa rovesciata sulla testa, il freddo, i temporali, i brutti incontri e un carico di 8-10 balle da 20 chili l’una da proteggere contro tutto e contro tutti.
Tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800 lavoravano annualmente nella zona del Lago Superiore oltre 5.000 voyageurs. Ciascuno trasportava, a stagione, centinaia di pelli di castoro, oltre a quelle di lince, lupo, martora, orso, volpe.
Quando la moda finalmente cambiò, il castoro era una specie in pericolo di estinzione e una nuova minaccia si profilava all’orizzonte. Alla fine dell’Ottocento i primi insediamenti umani già rosicchiavano i confini della grande foresta. Nel 1910 tutti i grandi alberi attorno ai laghi erano stati abbattuti e intere città di legno erano nate presso le cartiere.
Quando anche questo capitolo si chiuse attorno agli anni Settanta, la foresta non era più la stessa. Gran parte degli alberi più alti o più vecchi era stata abbattuta, milioni di metri cubi di legname erano stati sottratti al bosco, mentre le miniere di ferro aprivano ferite non più rimarginabili.
 “Dubito che ci sia un altro posto, dall’Atlantico al Pacifico, per il quale si è tanto discusso e tanto combattuto come per il Border Country”, scrisse Sigurd Olson, uno dei più accesi sostenitori della protezione della regione. Fu una lotta titanica e senza esclusione di colpi iniziata alla fine del secolo XIX quando la nascita dei primi parchi nazionali riempì di speranza gli amanti della natura.

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