Alba sulle sponde del lago Temagami
Pagaiare per 10 ore al giorno; trasportare sulle spalle
canoe e bagagli da un lago all'altro in mezzo a foreste di conifere;
raccogliersi accanto al fuoco alla sera e raccontarsi storie dai rispettivi
Paesi di origine; abbracciare con lo sguardo e la mente la via lattea,
ascoltando i richiami misteriosi delle strolaghe. Respirare la natura e
ascoltare se stessi. Spingere una canoa nell'acqua solo per raggiungere una
meta giornaliera segnata su una mappa. Questo risponderei, in sintesi, se
dovessero chiedermi di descrivere i 15 giorni di canoa nel favoloso
comprensorio del lago Temagami (Ontario) in compagnia di altri 11 giovani
viaggiatori da tutto il mondo nell'estate del 1997.
Il "Loon" (la strolaga)
Il tutto inizia in realtà qualche anno prima, nel 1993,
quando incoraggiato dai miei genitori decido di trascorrere delle vacanze
“diverse” e mi avventuro in un “summer camp” nell'Ontario settentrionale. Camp
Wabikon (White Flower nella lingua dei nativi) è una colonia estiva per ragazzi
sulle sponde del lago Temagami (Deep Blue Water). Al camp, frequentato da
ragazzi provenienti da tutto il mondo, anche se per la maggior parte canadesi e
americani, si svolgono attività all'aperto di ogni tipo, sfruttando soprattutto
la presenza del lago: vela, kayak, canoa, nuoto, beach volley, tennis,
football, baseball... La prima campana suona alle 7 del mattino, a seguire ci
si ritrova al “morning gathering” dove si canta tutti insieme l'inno canadese.
Poi colazione e quindi tutti a svolgere le proprie attività preferite.
Io seguivo con dedizione i corsi di canoa, invogliato più
che altro dalla passione per Lisa, la bionda istruttrice del British Columbia
con gli occhi azzurri e profondi e con un sorriso contagioso. E così la bella
Lisa mi ha insegnato ad andare in canoa tanto da invogliarmi, quell'anno e i
successivi, a intraprendere escursioni di 3 o 5 giorni lontano dal campo base.
Nel 1996 decisi di trascorrere al camp 6 settimane, rispetto
alle 3 degli anni precedenti, frequentando un corso per diventare “counselor”, più
o meno quello che qui si chiamerebbe “animatore”. E così nell'agosto 1997,
l'ultimo anno trascorso al camp, ho lavorato come counselor per 4 settimane e
ho ho speso le altre 2 viaggiando in canoa.
Il "wanigan"
Un'esperienza che consiglierei agli adolescenti di oggi,
sempre che siano disposti a vivere 15 giorni senza cellulare, senza internet,
senza i-pod, senza tecnologia alcuna... senza niente in realtà. Perché, a
ripensarci, l'equipaggiamento era veramente ridotto al minimo, per non avere
bagagli ingombranti da dover trasportare, e le possibilità di comunicare con il
mondo erano pari a zero. Un paio di magliette e pantaloncini, un paio di
costumi da bagno e vestiti pesanti per la sera, oltre a una cerata per
ripararsi dai violenti temporali che spesso si abbattono su quelle zone. Il
tutto in una sacca impermeabile. Una pagaia, una bandana. E basta. Il resto
dell'equipaggiamento era costituito da barili galleggianti per le scorte di
cibo, tende, torce per la notte e delle specie di bauli di legno - chiamati
“wanigan” - che venivano utilizzati per trasportare corde, utensili da campo e
attrezzi vari. Pesavano un'esagerazione e durante i “portage” (i tratti a
piedi) venivano portati sulle spalle e bilanciati con un laccio di cuoio sulla
fronte.
A distanza di anni, mi capita a volte di ripensare ai
“wanigan” e di aprirli, per trovarci dentro i ricordi di un'estate
indimenticabile, di 15 giorni fuori dal mondo. O, meglio dire, 15 giorni dentro
un mondo più vero e autentico?
Testo e fotografie di Davide Allen Milani, degno figlio di Grizzly Bear.
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