venerdì 19 settembre 2014

EDOARDO WALTER PORZIO CI RACCONTA IL CANADA, PARDON, IL VIAGGIARE

Questo articolo di Edoardo Walter Porzio vuole stimolare il lettore che ha trascorso una vacanza in Canada a scrivere le sue impressioni di viaggio, magari con qualche foto, che saranno pubblicate  ed interessare certamente altre persone.  


Lungo il mio percorso vitale, dai quindici anni in su, ho viaggiato parecchio malgrado vicissitudini di vario tipo legate al vivere comune, come, studio, lavoro, sport, hobby e, dato il mio carattere eclettico, assaporando una pletora di situazioni emotive di ogni genere. Oggi ,che nell’accezione comune del termine, posso  definirmi “maturo”, sento nascere dentro di me il desiderio, di esternare ad amici e compagni di viaggio la conclusione filosofica del mio excursus esistenziale. Lungi da me l’idea di scrivere una biografia, voglio solamente esprimere (se ci riesco?) il mio pensiero riguardante la “passione” per l’arte del viaggiare. Una ventina d’anni orsono (cosa abbastanza singolare in editoria) fui chiamato da un grosso Editore (Mursia) il quale mi invitò a scrivere un libro che illustrasse alcuni dei miei viaggi più significativi. Il testo che ne uscì “Impariamo a viaggiare” non volle essere un abc del viaggiatore ne, tantomeno, una guida tradizionale, bensì l’invito ad una riflessione interione con cui, ciascun lettore potesse cimentarsi confrontandosi ,in qualche modo, con l’autore. Ossia, considerare nell’intimo i reali motivi di attrazione verso l’avventura che quasi  sempre comporta un viaggio, analizzando gli scopi intrinseci e personali legati alla propria sensibilità e ai propri gusti. Questo fu il mio primo libro. Gli articoli di viaggio che sino ad allora avevo scritto, per varie riviste del settore, rappresentavano solo racconti di vita vissuta ma non necessariamente il sentimento che mi aveva spinto a visitare quei luoghi. La scaletta di “impariamo a viaggiare”, fu impostata espressamente con l’intento di obbligare, in qualche modo, il lettore a rispondere ad una serie di quesiti del tipo: Perché viaggiare? Come viaggiare? Quando? Con chi? In che luoghi? Con che mezzi? Perché in alcuni luoghi e non in altri? Quali sacrifici si è disposti ad affrontare? Ma, soprattutto, per quale motivo spendere soldi, affrontare fatiche, rischi e stress, in nome di che cosa? E’ normale che nel tempo si possa cambiare opinione, io stesso a questi “input” oggi do risposte diverse da quelle che avrei dato in passato. La maturità anche sotto questo punto di vista fa mutare opinioni gusti e pareri che non voglio definire “saggezza” ma, piuttosto, frutto di un accumulo di esperienze che costituiscono poi il sale dell’esistenza stessa, e che ci possono far vedere le cose da angolazioni diverse che in passato. Del resto, come diceva Seneca, “Per ogni arte o mestiere esistono maestri. Per vivere il solo maestro è la vita stessa”. Molti sono gli aforismi sul viaggio, sui viaggiatori, le teorie pseudo filosofiche sul viaggiare, la sua valenza culturale, ecologica e umanitaria, per cui, non mi cimenterò certo in questa materia. La mia esperienza di viaggiatore mi ha permesso di conoscere moltitudini di viaggiatori il cui unico scopo era quello di vantare la loro presenza in luoghi remoti o disagiati, per poter esaltare il loro valore di resistenza e sopportazione a climi o situazioni a volte molto particolari. Altri col solo intento di poter tappezzare la loro cartina planetaria di puntine colorate per dimostrare agli amici sin dove si erano spinti. Tra questi poi, alcuni considerano la parola “turista” come denigratoria da non confondere con quella ritenuta più colta di “viaggiatore”. Se però li confrontiamo con quelli che appartengono alle categorie citate, spesso questi, sono molto più “turisti degli altri. Tale discriminatoria si può applicare solo nel caso in cui per turismo s’intenda passare una vacanza in un determinato luogo limitandosi a passeggiare a riposare a praticare alcuni sport o, al massimo, facendo piccole escursioni. Per il resto: Ibn Batuta, Erodoto, Plinio o Giovanni da Pian del Carpine, erano dei “turisti viaggiatori-esploratori”, i quali si spostavano in territori sconosciuti coscienti di dover tornare con le conoscenze acquisite per illustrarle ai rispettivi popoli d’appartenenza. Infatti etimologicamente: tour-ismo non significa altro che viaggio, spostamento nel tempo e nello spazio compiendo “tour” con l’obbiettivo finale del ritorno. 


Ma non è di questo sillogismo che voglio parlare né intendo tracciare il prototipo del viaggiatore. Quel che è certo è che non sono gli spostamenti da un luogo all’altro del pianeta, per quanto esotici o lontani, a fare di un individuo un vero viaggiatore (mia mamma diceva che “anche le valige viaggiano”). Piuttosto sono i motivi, gli interessi, la curiosità, i sentimenti per cui si scelgono le destinazioni che esprimono la specificità caratteristica di ciascun viaggiatore. Non ultimo, la sua capacità di sintesi di ciò che ha catturato con la vista e le sensazioni emozionali prodottesi in lui a contatto con certe realtà naturali ed esistenziali delle genti incontrate, quindi la sua capacità d’interpretazione di luoghi e ambienti, usi e costumi che qualificano il viaggiatore colto e non la sua presenza fisica vissuta in senso astratto e distaccato. Il semplice reportage fotografico di luoghi e genti non basta ad estrinsecare i sentimenti e le emozioni assaporate in certe situazioni. Con la tecnologia attuale si sono venute a creare condizioni per le quali anche il fotografo più modesto può riprendere in automatico scene che una volta erano retaggio esclusivo dei grandi fotografi. Oggi la differenza tra un vero fotografo e un dilettante è data solo dalla capacità d’inquadratura dei soggetti come si dice in gergo: “il taglio”. Questi aspetti sono solo la copertina di ciò che un vero viaggiatore deve saper cogliere sia in fase di progettazione che durante e dopo il suo viaggio. Va da sé che i gusti come le discipline artistiche siano e debbano essere differenti, per cui, ecco che nella scelta della destinazione il futuro viaggiatore dovrà, in fase di idealizzazione delle mete, scavare nel proprio intimo quali siano gli interessi reali che lo fanno muovere in questa o in quella direzione. Dopo questa premessa, ecco il mio pensiero sulla filosofia che ispira i miei viaggi oggi.
Da ragazzo non perdevo tempo a pensare dove andare, per me era sufficiente: andare! Poiché le mie conoscenze erano pressoché nulle, per cui ogni destinazione, ogni incontro erano per me motivi più che sufficienti a giustificare i miei spostamenti. Come in tutti i campi della vita è con l’acquisizione dell’esperienza e lo sviluppo del proprio scibile che si delineano i gusti, si affinano le proprie inclinazioni e si sviluppa lo spirito. Proprio per queste ragioni, in un progressivo e continuo mutare e allargamento delle conoscenze e dei mezzi economici, (in passato certe destinazioni erano impensabili sia per l’organizzazione che per il costo proibitivo per la mia borsa) ho potuto maturare la mia attuale filosofia del viaggio. A ciò che sto per enunciare, hanno contribuito le mie tante collaborazioni con vari Enti del Turismo che, inviandomi in zone nelle quali il turismo era solo un concetto astratto, mi hanno dato la possibilità di entrare in contatto con realtà a cui coi miei mezzi non avrei potuto accedere. La mia ricerca attuale si è consolidata su due principi fondamentali irrinunciabili: l’approfondimento sempre più spinto della conoscenza dell’umanità che mi circonda, sia sotto il profilo antropologico che storico e ambientale e sulla profondità dei concetti spirituali che legano l’individuo al cosmo che lo circonda. Voglio subito chiarire che secondo me non esistono viaggi culturali e viaggi effimeri. Ogni luogo, ogni individuo a qualunque latitudine racchiude in sé interessi culturali che potranno non essere fondamentali per alcuni, ma che, analizzati da coloro che sono interessati alla disciplina in oggetto, rappresentano sempre motivi culturali di primo piano. E’ ovvio che un naturalista, un botanico, uno zoologo, un entomologo, possano preferire mete diverse da chi ama la natura solo sotto l’aspetto paesaggistico e ambientale. Chi ama la storia medievale sceglie destinazioni diverse da chi è amante dell’archeologia. Chi ama le comodità non si spingerà mai (se non per errore di giudizio) in luoghi inospitali e solitari. Così come, chi ama scoprire usi e costumi di popoli semi-primitivi, non andrà a visitare (se non per caso, ossia di passaggio) le grandi metropoli moderne ultra tecnologiche ma, anzi, cercherà realtà il più possibile genuine legate ad usanze ancestrali diverse dalla sua vita quotidiana e del suo habitat. Ecco che, dopo lunga maturazione durata decenni, si è cristallizzata la mia “filosofia di viaggio”. Di fatto, la parola greca geographia  significa sostanzialmente “il mondo e tutto ciò che esso contiene”. I miei itinerari (pur non disdegnando all’occasione mete eterogenee) si sviluppano attorno alle popolazioni più disparate del globo. La mia conclusione è che, non solo vado a visitare i luoghi dove esse si trovano, ma cerco di far coincidere la mia visita, con avvenimenti o feste particolari tipiche di quelle società. Spesso si sente dire che molti di questi avvenimenti vengono organizzati proprio a scopo turistico e, in molti casi, è proprio così. Ma come in ogni medaglia c’è il suo rovescio. Un giorno durante una delle mie conferenze, ebbi modo di conversare a questo proposito, con l’antropologo Marco Ajme che mi aprì gli occhi su questo argomento, confidandomi una realtà che a molti sfugge. Alcune cerimonie e certe esibizioni “folkloristiche” si possono ancora ammirare proprio perché, gli indigeni che non avrebbero più i mezzi economici o interessi animistici per eseguirle, traggono vantaggio dal fatto che i “turisti” pagano per assistere a queste antiche esibizioni tradizionali che, viceversa, andrebbero perdute. Così è per gli “indiani d’America” per i Dogon del Mali o per il Nadam dei mongoli. “Questo è forse uno dei pochi casi in cui il turismo ha fatto del bene incoraggiando quelle popolazioni a conservare le loro culture”. Così concludeva Marco Ajme e, devo dire, che questa sua affermazione mi trova completamente d’accordo. Un altro obbiettivo irrinunciabile delle mie mete, sono i mercati. Sì perché se i monumenti sono importanti come testimonianze del passato, il mercato costituisce il punto d’incontro delle masse umane, per cui è sempre un luogo di aggregazione estremamente importante. Spesso s’incontrano etnie che vivono in piccoli villaggi sperduti nella selva o sulle montagne, come in Orissa o nelle isole della Sonda o nella Transbaijkalia. Gente che non ha mai contatti col resto delle altre comunità se non nei giorni di mercato che, spesso, ha luogo a decine e decine di chilometri dal loro contesto abitativo. La mia ricerca da qualche anno, e per il futuro, è quindi indirizzata verso questo tipo di viaggio. Una ricerca antropica in senso lato, che va dalle usanze sciamanico religiose agli usi e costumi di popolazioni varie senza la pretesa di essere uno “scout”,  poiché, nel secondo millennio, c’è ben poco da scoprire! Soprattutto, senza mai fare confronti di subalternità tra le diverse culture, ma avendo il massimo rispetto e cercando di assimilare le ragioni originarie di tali culture autoctone. Umiltà e non pregiudizi! Semmai apprezzando ciò che ci accomuna e non disprezzando il diverso solo per la sua natura “diversa”. Al di là della scoperta però, ci sono cose che non si possono trasmettere come  le emozioni e, tutte quelle sensazioni, che si provano in presenza di simili incontri o in occasione di certi avvenimenti. Sentimenti questi che, per il fatto stesso di essere assolutamente personali, non si possono raccontare né con parole né per immagini. Devono essere vissute. Anche in questo caso, però, è ovvio che l’intensità e l’ampiezza emotiva sono legate alla specificità dell’individuo, non possono essere generalizzate. Questa considerazione, non deve fungere da deterrente ma, anzi, deve costituire ulteriore motivo di compiacimento nell’apprendere che ogni essere umano è uguale e diverso da tutti gli altri. Per questo è meraviglioso viaggiare! Per conoscere sempre più e sempre meglio il mondo in cui viviamo. L’unico vero rammarico è che una vita non è sufficiente, ce ne vorrebbero due o forse più.  La mia conclusione è che, pur nel più completo rispetto dei gusti e delle aspirazioni personali, il mio futuro di viaggiatore, sino a quando mi sarà vitalmente possibile, sarà indirizzato verso queste mete, alla ricerca del (per me) vero sale della vita, e cioè le emozioni che generano sentimenti e aprono il nostro animo verso l’infinito e il soprannaturale cosmico dell’esistenza umana. Se ci fossero tanti viaggiatori che condividessero questo modo di pensare, forse ci sarebbero meno conflitti e tutti vivremmo più pacificamente. 

                                                                                         EDOARDO WALTER PORZIO 2014


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