venerdì 25 luglio 2014

DOVE OSANO LE OCHE





Ogni anno, in settembre, immensi contingenti di oche bianche che calano dalla tundra artica preannunciano l’autunno: viaggiano intruppate, in fila indiana, disposte a cuneo, oppure disegnano linee più sinuose imbrigliando tutto il cielo in una bizzarra rete. Puntano verso sud, ai quartieri di svernamento, a piccoli ma ben definiti lembi di terra, sempre gli stessi. Uno dei luoghi di maggiore affollamento è tra l’Oregon e la California, il Klamath Basin, un centinaio di chilometri quadrati di terra acquitrinosa.
In volo ci sembrano tutte uguali; in realtà, l’aspetto è simile in tre forme diverse di oca bianca: l’oca delle nevi vera propria comprende 2 sottospecie, la minore (Anser caerulescens caerulescens), lunga dalla punta del becco alla coda 75 centimetri circa e con un peso di 2,3-3,1 chili; e la maggiore (Anser caerulescens atlanticus), identica sia esteriormente sia nella biologia  e nel comportamento , ma solo un po’ più grossa (pesa in media mezzo chili in più).
A parte le dimensioni, le 2 sottospecie si distinguono per la distribuzione: la “piccola”, decisamente più importante in termini numerici, ha le sue stazioni di svernamento principali lungo la costa del Pacifico, nelle valli della California e nel golfo del Messico; proviene dalla parte occidentale delle baie di James e di Hudson, dall’isola di Baffin, dall’intera fascia dei Northwest Territories, da tutta l’Alaska fino all’isola di Wrangel. La “grande” si incontra nel Québec (dove a Cap Tourmente, alle foci del fiume San Lorenzo, si trova uno dei più importanti ‘scali’ delle oche del continente http://www.amiscaptourmente.org ) e, più giù, sulla costa atlantica degli Stati Uniti; la riproduzione avviene invece principalmente sulle isole di Bylot e di Ellesmere, e sulla costa sud-orientale della Groenlandia. Piccoli contingenti si trovano anche in Europa, in Scozia e in Irlanda.
Una terza oca bianca è quella di Ross (Anser rossi), notevolmente più piccola e considerata rara, ma forse solo perché viaggia insieme ai grandi stormi delle caerulescens, da cui è pressoché indistinguibile: l’unica differenza, infatti, non è apprezzabile in volo in quanto consiste nella mancanza della fascia nera lungo i lati del becco, il “grinning patch” (chiazza del ghigno) che dipinge sull’espressione delle oche delle nevi un curioso sorsetto.
Tra le 10.000-20.000 oche che si possono vedere in una volta sola non avviene mai una collisione e probabilmente nessun altro grosso volatile è capace di muoversi in tali matasse così abilmente. Esiste, nel vocabolario delle oche (molto vasto visto che si tratta di animali sociali) un segnale che significa “decollo immediato”: uno scuotere lateralmente la testa e il becco che si propaga a macchia d’olio attraverso il gruppo un attimo prima che tutti quanti si sollevino con una simultaneità stupefacente. I movimenti nello spazio sono talmente ben calibrati che non si vede mai un individuo scansarsi per fare posto a un altro, né alla partenza né all’aterraggio.
Pare inoltre che in mezzo a questa ‘nuvola’ di oche i gruppi familiari, genitori e figli, riescano a viaggiare uniti. Per non perdere il contatto emettono il caratteristico stridulo “keek” (altro al noto e più colloquiale “zung-ung-ung” che ricorda il suono di un fagotto: gli individui si riconoscono infatti dalla voce.
Quanto al caratteristico volo in formazione (gli individui si dispongono secondo i lati di un’immaginaria ‘V’ con una guida al vertice) se ne è discusso a lungo: scartate per motivi matematici diverse ipotesi di reciproche facilitazioni aerodinamiche, si è propensi a considerarlo semplicemente un comodo sistema per tenere d’occhi gli altri senza avere ingombro tutto il campo visivo.


Il pericolo maggiore per le oche in migrazione? Quando non sono uccise dai cacciatori, spesso le oche vengono ferite e diventano facile preda dei rapaci. Altre muoiono di saturnismo, cioè avvelenate dai pallini di piombo. Quasi un terzo dell’intera popolazione non farà ritorno alla tundra per passarvi l’estate. 

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